Sorrido sempre quando sento dire che l’Unione Europea di oggi è il frutto di politiche liberiste o neoliberiste. Mi chiedo come si possa arrivare a questa affermazione e altrettanto mi chiedo se chi lo dice invece, nei fatti, non sia esso stesso promotore di quelle politiche che stanno contribuendo alla creazione di questo modello di Unione Europea. Politiche tutt’altro che liberiste o presunte tali. Come può considerarsi frutto di politiche liberali, liberiste o neoliberiste una entità che sistematicamente produce interventi assimilabili, al contrario, a forme di neo-dirigismo e volti molto spesso alla creazione di veri e propri oligopoli, siano essi di natura economica o anche culturale. Non vale la pena più contare il numero di pagine (o i byte) di Direttive e Regolamenti che di “liberale” hanno ben poco.

Si badi bene. Chi scrive (è di parte e questo si sa) non banalizzerà il tema citando l’ormai famoso caso della regolamentazione della lunghezza degli ortaggi, bensì di un’altra questione molto più complessa e complicata. Prendo ad esempio quanto avvenuto ieri al Parlamento europeo. Dopo lungo travaglio politico è stata approvata la proposta di Regolamento sul ripristino della natura*. Entusiasmi a squarciagola da chi ormai fa della “battaglia climatica” non più un grido di allarme, bensì una vera e propria crociata ideologica e massimalista. Sconcerto e critica da parte di chi invece ha scoperto di avere al suo interno alcuni (ma importanti) franchi tiratori.

Chi non si è fermato ai titoli, sa benissimo che tra le motivazioni e gli obiettivi che sono stati rappresentati all’interno della Relazione alla proposta del Regolamento è specificato come tra le finalità di questo vi sia la necessità di condurre una “azione più risoluta per conseguire gli obiettivi dell’UE in materia di clima e biodiversità per il 2030 e il 2050, e per assicurare la resilienza dei sistemi alimentari”. Un presupposto che, secondo i suoi promotori, giustificherebbe anche la scelta di proporre un regolamento proprio per “garantire che le disposizioni siano direttamente applicabili”.

L’Unione si da degli obiettivi (più che sfidanti, come nel caso del pacchetto fit for 55) e poi che fa? Ripete il meccanismo, in corso di opera, con ulteriori obiettivi proprio per “garantire che le disposizioni siano direttamente applicabili”. Questo quasi come se l’adozione di un regolamento o di qualsivoglia altro provvedimento normativo possa di fatto garantire il raggiungimento stesso degli obiettivi. Non è una cosa banale questa, perché, sarà forse l’avvicinarsi delle elezioni europee, ma la produzione normativa eurocomunitaria del post-Covid19 tanto assomiglia alle grida di manzoniana memoria.

Assurdo, sempre più assurdo, è l’agire dell’Apparato eurocomunitario che fissa obiettivi e detta norme senza al contempo lavorare sui reali effetti, soprattutto quelli in termini negativi, che questi avranno sulle Comunità dell’Unione. Un ulteriore esempio? La guerra al motore endotermico. Quale è il senso reale di porre un obiettivo che colpirà duramente un settore strategico (non soltanto per il mondo dell’auto) per gran parte dell’Europa, senza prevedere concrete, reali e fattive politiche di supporto e incentivazione alla transizione industriale che questa scelta necessariamente sta già determinando?

Porre limiti, divieti e obiettivi di livello sovranazionale senza una chiara strategia di transizione e misure concrete volte a supportare tali scelte altro non farà che indebolire la tenuta dell’Unione Europea nel suo complesso, seppur sul breve termine alcuni paesi membri possano sentirsi “in singolare vantaggio” rispetto ad altri.

 

Stefano Aggravi

 

* Proposta di Regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio sul ripristino della natura, (Testo rilevante ai fini del SEE), {SEC(2022) 256 final} – {SWD(2022) 167 final} – {SWD(2022) 168 final}

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