Trovo profondamente discutibile — e avevo già avuto modo di dirlo — che si parli di applicazione
della Golden Power in un’operazione come quella che UniCredit ha lanciato su BPM. Non siamo
di fronte a un’acquisizione straniera o a una minaccia per asset strategici nazionali da parte di
soggetti esterni: siamo dentro i confini del sistema bancario italiano, tra due realtà che operano
sotto vigilanza nazionale ed europea. Parlare di “interesse nazionale” in questo contesto non è
altro che assurda e becera propaganda politica di qualcuno.


Il Consiglio dei ministri – almeno – ha evitato il veto e si è limitato a un via libera condizionato. Ma
a cosa servono questi « paletti », se non a mascherare l’incapacità (o la non volontà) di prendere
una posizione chiara? Mantenere sedi, rapporti impieghi/depositi o livelli di project financing sono
ordinaria amministrazione per chiunque voglia davvero integrare due strutture in modo
responsabile. Che senso hanno questi « paletti »?


La verità è che evocare la Golden Power in questo caso è una forzatura. E come tutte le forzature,
rivela più le debolezze del sistema che non la sua capacità di difendersi. Se l’obiettivo è tutelare la
pluralità del sistema bancario o presidiare il radicamento territoriale, allora serve una politica
industriale e creditizia coerente, non uno strumento emergenziale applicato a piacimento.


Si dà l’illusione di esercitare controllo, ma in realtà si sceglie di non decidere, o peggio, di
decidere in modo opaco. E in tutto questo, l’operazione UniCredit-BPM scivola via tra formalismi,
lasciando ancora una volta inevasa la domanda vera: che ruolo vogliamo per il nostro sistema
bancario? Perché se la risposta è “ce lo dirà il mercato”, allora almeno lo si lasci fare, per
l’appunto, al mercato.

Stefano Aggravi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

This field is required.

This field is required.

Translate »